[LA TRAPPOLA MORTALE DI PIZZO] QUALE FU IL RUOLO DEL COMANDANTE BARBARA' NELLA CATTURA E FUCILAZIONE DI GIOACCHINO MURAT?

« (...) il ventiquattro andante mese di Luglio di questo corrente anno mille otto cento ed undeci, essendo comparsa verso l’ore quindeci fuori Briatico, seu Rocchetta una Fragata Inglese, la quale fino all’ore sedeci drizzò il camino per il golfo di Sant’Eufemia, indi poi verso l’ore diecedotto si ritrovava dirimpetto di Santa Venere di Bivona, ed appoggiò la prora a dirittura supra la detta Polacca, e subito gettò in mare tre lancie, una delle quali andò sopra la mentovata Polacca, e pose fuoco, essendo l’ore venti circa. 
In qual veduta, siccome in questa Marina si trovavano tre lancioni della divisione del Signor Barbarà, nonché Vice Scorridore del Signor Lo Prest, e Signor Luciano;li medesimi subito fecero vela andando contro le sudette lancie nemiche, ma in tanto l’altre due lancie Inglesi andavano a Terra di Santa Venere, facendo fuoco, perché ivi v’era una Barca nel lido, e come colà era occorso tanto la Truppa qui stazionata, che
la civica, ed altro ajuto di Monteleone, così a vicenda facevano fuoco, ed impedirono dette lancie nemiche a bruciare, o prendersi la barca di sopra denominata, per cui se ne ritornarono, ed andarono di belnuovo alla surriferita Polacca a porre, come posero maggior fuoco, e la Fregata Inglese si avvicinava alla dirittura di essa Polacca, la quale era accesa, e si bruciava per il fuoco avuto. 
In questo stato di cose tanto i lancioni del Signor Barbarà, che le denominate due Scorridore tiravano colpi di cannoni contro dette lancie, e contro la Fregata, e lo stesso facevano le lancie contro i Lancioni e Scorridore, essendovi un fuoco vivo, in qual fuoco la Fregata vieppiù si accostava alla Polacca per non andare niun legno a smorzare il fuoco, il Fortino di questa Marina tirò tre o quattro colpi di cannoni alla Fregata, allora la medesima Fregata essendo quasi l’ore ventidue tirò più colpi di cannoni a terra di Santa Venere dove era la sudetta Barca, truppa e civica, indi cominciò a tirare colpi di cannoni contro detti Lancioni e Scorridore, le quali da valorosi si difendevano contro la Fregata sudetta, la quale non si partì mai fino all’ore ventiquattro ad andare in alto mare con poco vento da terra, se pria non vidde bruciata per intera la sudetta Polacca, cosa notoria a questa popolazione».
Asvv, Notaio Rizzo Luigi Antonio (Pizzo 1808-1849), 26 giugno 1811, s. CCCVI, vol. 1579, f. 41

Leggere oggi, ad un giorno dall'anniversario dello sbarco di Murat a Pizzo, questo documento testimoniale, redatto il 26 giugno del 1811  da un  padrone di barca e controfirmato dal capitano Barbarà dinanzi al notaio Rizzo di Pizzo Calabro, mette i brividi.
Il documento rivela infatti  la presenza del capitano Barbarà (proprio colui che quattro anni dopo guiderà la piccola flottiglia di Murat nella trappola mortale pizzitana) nella cittadina Pizzo, audace ed attivissimo nella difesa navale del tratto costiero compreso tra Santa Venere e Pizzo, che nel pieno della sua autorità militare, rivendica in quell'atto parte del valore del carico salvato dalla incursione navale inglese.
Ma allora? Chi era veramente questo corsaro maltese la cui figura si perde nelle nebbie della legenda tragica? Vediamo di tracciarne, per quanto possibile, un breve profilo. La storia dell’ex corsaro maltese Vincenzo Michele Giacomo Barbarà nella Regia Marina comincia il 28 il giugno del 1806, data in cui il re Giuseppe Bonaparte lo ammise nella sua marina, col grado di Alfiere di Vascello ed una gratifica di 1.200 franchi, due giorni dopo il decreto con il quale riorganizzava l’organico degli ufficiali del corpo.
Così l’ex corsaro maltese fece il suo ingresso nella Marina Napoleonica, assumendo il comando delle cannoniere di Salerno.
Il suo operato fu ritenuto sempre audace e questo fece spesso soprassedere a una condotta poco incline al rispetto delle norme. Il suo nome compare tra gli ufficiali superiori insigniti, nel febbraio 1808, della Croce di Cavaliere, entrando così a far parte del nuovo ordine delle Due Sicilie, nonostante fosse un Tenente di fregata.
Il 23 novembre del 1808,  infatti, il Barbara venne inviato dal Murat, con tutta la sua divisione, al comando delle Cannoniere di Reggio, con una sezione e 4 scorridore di rinforzo e la promessa di un premio di 2.000 ducati, se avesse intercettato la corrispondenza nemica tra Messina e Palermo. 
Furono le azioni di Barbarà a difesa delle coste salernitane che gli valsero il nuovo incarico nella difficile terra di Calabria. Il «Monitore Napoletano» del 22 ottobre 1806 scriveva che 30 cannoniere erano uscite da Castellammare e l’8 novembre citava il Barbarà per aver difeso la sua squadriglia a Policastro. Il 13 agosto del 1807, per il genetliaco della regina Carolina, le cannoniere borboniche di Capri sfidarono la linea inglese ancorata nel porto di Massa. Secondo il «Monitore Napoletano», Barbarà comandava la «divisione feluconi da guerra» a Castellammare. Nell’ottobre di quello stesso anno vi furono incidenti a Salerno per la leva forzosa di 25 marinai fatta da Barbarà e in novembre una rissa a bordo della cannoniera n. 49 tra i marinai imbarcati e i soldati svizzeri, accusati di contrabbando.
E in Calabria le sue gesta non furono meno clamorose. Il 24 luglio 1811 con 2 cannoniere di Scilla e le 2 scorridore respinse 4 navi inglesi a Bivongi (Rc). A fine agosto del 1811 si buttò all’attacco di un convoglio di 10 feluconi scortati da 7 lancioni e 6 scorridore, perdendo la cannoniera n. 50, che, colpita dagli inglesi, affondò nello scontro. Il 15 settembre 1811 Barbarà, con 3 cannoniere sostenute da un reparto del 4° di linea, ingaggiò un combattimento con superiori forze navali nemiche, impedendo loro di effettuare uno sbarco. In settembre e ottobre gli inglesi attaccarono due convogli in transito sotto Positano: in entrambi i casi furono respinti dalle cannoniere di scorta di Barbarà.
Di scorta con 10 scorridore a un convoglio diretto a Pizzo, il 16 aprile del 1812 Barbarà respinse un attacco nemico sotto la batteria Cirella, catturando tre unità nemiche (sciabecco, feluca e leuto armato) con 5 pezzi e 61 uomini; il 25 luglio scortò incolume un altro convoglio sino a Napoli.
Ancora il «Monitore Napoletano» del 22 giugno 1812 dà notizia che la divisione Barbarà era rientrata a Pizzo da una crociera di ventidue giorni con una preda inglese fatta sotto Policastro. Il 10 luglio parte da Pizzo con le navi Achille, Gallo e il Wagram, con la corsara Fenice per partecipare al combattimento del 27 luglio davanti la città di Reggio, facendo come preda un legno inglese.
Alla luce di questi atti e notizie, è certamente da rileggere il ruolo interpretato dal Comandante Barbarà nella vicenda dello sbarco e cattura del re Gioacchino Murat nella marina di Pizzo.
E' indubbio dunque che egli frequentasse il vibonese tra il 1808 ed il 1812, con un ruolo sociale tutt'altro che marginale. Tale ruolo lo portò certamente ad intessere relazioni ed amicizie con le autorità e la borghesia locale, con tutta l'influenza dovuta all'essere Comandante di un gruppo militare marittimo d'occupazione, autorizzato a difendere ed a compiere atti di requisizione e pirateria verso i convogli inglesi diretti in Sicilia.
Tale ruolo, conoscenze e competenze nel conoscere a menadito la realtà calabrese (e vibonese in particolare), quanta parte ebbero nella scelta di Pizzo come piazza di sbarco, ed ancorpiù, quanta parte ebbe nella scelta di abbandonare Murat su quel lido?
Comandante della nave S. Erasmo, sulla quale era imbarcato lo stesso Murat e il suo stato maggiore, raggiunse la costa napitina l’8 ottobre 1815, costa e territorio dunque a lui ben noto, così come ben noti dovevano essergli funzionari e nobili dell'Università di Monteleone, visto il ruolo svolto nell'organizzazione della difesa costiera calabrese, che oggi potremmo assimiliare a quello di un attuale Comandante di Capitaneria.
Il convoglio navale partito il 28 settembre 1815 dalla Corsica, disperso dal maltempo, si ridusse a due sole navi, e il Barbarà convinse il Re a far sosta a Pizzo, dove il Murat sbarcò al posto del Barbarà proprio perché si rifiutò di consegnargli il passaporto austriaco. Quando il Murat raggiunse la cittadina, la situazione precipitò a tal punto che, per evitare l’arresto, il gruppo francese ritornò verso la marina, scoprendo però che la nave del Barbarà aveva ripreso il largo.
E' indubbio che la fuga del delle due navi, il S. Erasmo e del Volteggiante,  facilitò non poco l’arresto di Murat, che il 13 ottobre 1815 vedrà la morte sugli spalti del Castello di Pizzo.

Certo, mettere in luce la vicenda personale del Barbarà non cambia nulla sulla sorte finale del povero Murat, ma pone alla riflessione, in maniera pressante, un dubbio storico sulla vicenda. Capire se sia stato semplicemente un codardo traditore "dell'ultimo minuto" (più interessato a salvare la pelle ed il "tesoro" di Murat, rimasto a bordo del S. Erasmo) o un traditore consapevole "sin dall'inizio" della spedizione (interessato cioè ad essere parte attiva, in solido con altri, di un progetto regicida) non è poca cosa.

Rileggere il suo comportamento con la consapevolezza del fatto che in Calabria, e proprio tra Pizzo e Vibo Valentia, non fosse un anonimo militare é estremamente importante.
Anche sapere ulteriori particolari su cosa accadde al Barbarà dopo la fuga di Pizzo e l'abbandono di Murat al suo mortale destino, non è poca cosa.
A saperlo contribuisce  una minuta scritta da Vincent Cecconi di Bastia, comandante della sesta feluca (la Volteggiante, adibita a portaordini), della spedizione di Murat ed indirizzata al Generale Franceschetti, che troviamo pubblicata nelle sue memorie.
La testimonianza del Cecconi, che rivela che il S. Erasmo il giorno dopo, mentre era diretto verso la Sardegna, divenne preda di pirati barbareschi, che catturatili e perquisita la nave, li rilasciarono dopo aver preso mille franchi a Barbarà e circa 160 franchi dell'equipaggio.
Dunque, convinti che la perquisizione della banda barbaresca della nave non sia stata approssimativa, si più tranquillamente affermare che nessun tesoro appartenente a Murat era rimasto a bordo del S. Erasmo.

Ma riportiamo il testo integrale, in francese, del Comandante Cecconi:

"Le 28 septembre 1815, me trouvant à Ajaccio , avec ma felouque nommée la Voltigeante, de vingt-deux hommes d'é quipage, je fus nolisé par le général Franceschetti , ponr la somme, de six mille francs , prix convenu avec les autres ba teaux qui devaient composer le convoi de l'expédition du roi Joachim ; le général Franceschetti ordonna au commandant Poli de me remettre suivie-champ deux mille francs, ainsi qu'avaient reçu les autres , et de me comprendre sur le rôle ; mais ce dernier, me remit seulement mille francs, disant qu'il n'avait pas d'autre somme à sa disposition, et que les cinq mille restant me seraient remis à mon retour en Corse. Le même jour nous mîmes à la voile dans le Golfe d'Ajaccio , vers minuit, sous les ordres du capitaine de frégate baron Barbara, Maltais d'origine; après neuf jours de navi gation, le 8 octobre, au soir, nous approchâmes de terre à la distance de quatre lieues environ du parage de Paola en Calabre; mais , le vent soufflant de terre, il nous convint de lou voyer pour nous maintenir sur ledit parage, d'après les ordres de notre commandant. Vers la fin du jour , le commandant donna des ordres par signaux et nous défendit d'en faire aucun par le moyen des fanaux , afin de ne pas être découvert de terre ; que pen dant la nuit nous devions nous tenir au même parage, etpour être toujours réunis , nous devions faire de frëquens signaux avec des briquets ; mais, vers minuit, le vent de terre s'étant renforcé, le convoi se dispersa, et il n'y eut que ma felouque qui ne s'éloigna pas diï commandant. 
Le 7 au matin nous nous trouvâmes à peu de distance de Santo Lucido en Calabre ; le vent s'étant calmé et ne pou vant apercevoir aucun des bateaux du convoi, le comman dant s'approcha de terre, et jeta l'ancre tout près de Santo Lucido, et étant au mouillage, il me fut ordonné de partir de suite pour aller à la découverte de nos conserves.  Me trouvant à quatre lieues de distance , je découvris une voile de la quelle n'étant approché, je reconnus être une de celles qui faisaient partie du convoi ; lui ayant demandé si elle pouvait me donner des nouvelles des autres , elle me répondit que le temps les avait dispersées pendant la nuit , et que depuis Iofs elles ne s'étaient plue vues. Ayant trouvé à bord le chef de bataillon Courrand, avec les autres officiers et une cinquantaine de soldats, je lui donnai l'ordre de me suivre , et je les conduisis au milieu du mouillage où se trou vait le bateau du roi.  Aussitôt son arrivée, Courrand s'embarque sur le bateau de sa majesté , et peu d'instans après , deux officiers en firent autant. Le général Franceschetti , après avoir conféré avec le roi, les interrogea , mais j'en ignore le résultat. La nuit étant survenue , nous mîmes tous les trois à la voile ; Courrand s'embarque de nouveau sur son bateau , à l'exception des deux officiers. Le commandant Barbara remor qua le bateau de Courrand et longeant la côte ; vers minuit étant arrivés sur la Mantea , pour prendre terre, le bateau du chef de bataillon Courrand coupa la remorque sans qu'on s'en fût aperçu, il prit la fuite. 
Nous fûmes tous éton nés d'une action si vile. Ayant continué notre route, nous nous trouvâmes le matin du 8, à la pointe du jour, sur la pointe du Pizzo, vers la quelle nous nous dirigeâmes , et nous allâmes ancrer; au moment où le roi et sa suite débarquaient, le commandant Barbara le pria de me laisser à bord , parce que je lui étais nécessaire ; le général Franceschetti m'ordonna au nom du roi, de rester à bord, aux ordres dudit commandant.  
Environ trois quarts, d'heure après le débarquement, plusieurs coups de fusils s'étaient fait entendre. 
Le commandant Barbara m'ordonna alors de remorquer son bateau , et de nous éloigner de terre à force de rames , et, pour être plus en sûreté, il monta sur ma felouque ; il fit monter son domestique au haut du mât avec une lunette , pour reconnaître ce qui se passait à terre ; mais ni l'équipage ni moi ne pûmes rien com prendre , ni aux interrogations , ni aux réponses , qui étaient en langue maltaise.  Lui ayant demandé ce que c'était que les mouvemens que-la gai'de apercevait , le commandant Barbara toie répondit que c'était une grande quantité de gens ( Cette quantité de monde qui descendait pour armer des cha loupes pour attaquer Barbara , c'e'tait le roi Joachim qui , e tant arrive au rivage avec ses officiers , faisait de vains efforts pour lancer à la mer la barque qu'ils avaient saisie et dans laquelle on avait place le roi.) qui descendaient vers le rivage pour armer des chaloupes coursières pour venir nous attaquer, et nous pria de faire force de rames pour nous éloi gner. 
Un quart d'heure après environ , le fort tira sur nous deux coups de canons, dont les boulets tombèrent à peu de distance de nous ; peu de momens après on vit sortir deux chaloupes venant sur nous à force de rames, et qui nous pour suivirent jusqu'au coucher du soleil ; en ce moment le fort ayant tiré un coup de canqn à poudre , elles virèrent de bord et cessèrent de nous poursuivre. La nuit s'étant obscurcie, le commandant Barbara remonta sur son bateau , fit changer de route en prenant sa direction pour la Sardaigne; arrivé au milieu du canal, entre la Calabre et la Sardaigne, nous fûmes arrêtés par un corsaire barbaresque qui visita toutes nos malles, après en avoir brisé les serrures; et dans une malle fut pris un sac, que le capitaine Barbara nous dit contenir mille francs ; le corsaire nous ayant retenus avec lui deux jourset une nuit , il nous relâcha en restituant au bord du comj mandant nos malles , nos valises , et le sac d'argent ayant été compté en présence du rhais et de l'équipage il n'y fut trouvé que huit cent soixante-dix francs , et l'on disait que ce qui manquait avait été pris par un matelot du bord. 
Le commandant Barbara sachant que je n'avais eu que mille francs , me remit cette somme.  Ayant continué notre route , nous arrivâmes à Bastia le 20 octobre, où il fallut faire une longue et dispendieuse quarantaine , pendant laquelle je fus obligé de dépenser cette somme et en outre quatre cents francs de ma poche , comme il en résulte de mon compte.  
D'après cette narration véridiquè et sincère , ayant fait mon devoir, je prie M. le gouverneur d'ordonner à MM. Franceschetti et Poli de me payer ce qui m'est dû."
Bastia, le 6 février 1818. Vincent Cecconi. 

Maggiori approfondimenti, in "Il porto ritrovato. documenti e atti per la storia del porto di Santa Venere" di Antonio Montesanti, Rubbettino, 2012.
Le foto dello sbarco di Murat, sono estratte della pagina facebook del Gruppo Storico Gioacchino Murat


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